Il redditometro, strumento utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per verificare la congruenza tra il reddito dichiarato e le spese sostenute dai contribuenti, in modo da capirese sono state pagate le tasse dovute, ed è stato oggetto di diverse modifiche e proposte nel corso degli anni, l’ultima è di questi giorni ed arriva dal Governo Meloni.
Sebbene non ci siano al momento notizie ufficiali riguardo a una nuova proposta specifica del redditometro, è importante considerare che il tema dell’evasione fiscale e del controllo dei redditi è sempre attuale nel dibattito politico ed economico italiano.
Possibili scenari futuri:
- Revisione degli strumenti di controllo: L’Agenzia delle Entrate potrebbe valutare l’aggiornamento degli strumenti di controllo dei redditi, incluso il redditometro, per renderli più efficaci e adeguati alle nuove forme di consumo e di evasione.
- Utilizzo di nuove tecnologie: L’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data potrebbero essere impiegate per migliorare l’individuazione di eventuali incongruenze tra reddito dichiarato e tenore di vita.
- Maggiore collaborazione tra enti: Potrebbe essere rafforzata la collaborazione tra Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e altre istituzioni per un controllo più efficace dei redditi e delle spese dei contribuenti.
Considerazioni:
- Tutela della privacy: Eventuali nuove proposte dovranno garantire il rispetto della privacy dei contribuenti e l’utilizzo corretto dei dati personali.
- Efficacia e proporzionalità: Gli strumenti di controllo devono essere efficaci nel contrastare l’evasione fiscale, ma anche proporzionati e non eccessivamente invasivi nei confronti dei cittadini onesti.
- Equità: Il sistema fiscale deve essere equo e garantire che tutti i contribuenti paghino le tasse in base alla propria capacità contributiva.
Ti consiglio di seguire le notizie ufficiali e le fonti attendibili per rimanere aggiornato su eventuali sviluppi futuri riguardanti il redditometro e gli strumenti di controllo dei redditi.
Difficilmente si farà un nuovo redditometro
Questo perchè 2 partiti di maggioranza su 3 non sono d’accordo.
Un decreto ministeriale introdotto dal viceministro all’Economia Maurizio Leo ha creato scompiglio nella maggioranza. La notizia del ritorno del redditometro, uno strumento utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per dedurre il reddito di una persona basandosi sulle sue spese e verificare se coincide con la dichiarazione dei redditi, ha suscitato una reazione immediata da parte di Lega e Forza Italia, che hanno chiesto il ritiro del decreto.
Successivamente, lo stesso Leo è intervenuto per cercare di placare la situazione, spiegando che il decreto rappresenta semplicemente un atto tecnico necessario per “mettere finalmente dei limiti” ai controlli dell’Agenzia delle Entrate, anziché aumentarli.
Cosa dovrebbe essere
Il redditometro è uno strumento utilizzato dal Fisco per analizzare le spese di ciascun contribuente e della sua famiglia, basandosi sui dati già disponibili. Questo metodo permette di esaminare un’ampia gamma di spese definite dal decreto del governo Meloni. Le spese considerate includono quelle per l’abitazione, alimentari, abbigliamento, gas e luce, trasporti, spese sanitarie, e acquisti di elettrodomestici.
Oltre alle spese quotidiane, il redditometro tiene conto anche di una buona parte degli investimenti, come quelli immobiliari, e dei risparmi e altri versamenti effettuati. Questo strumento consente al Fisco di ottenere un quadro completo della situazione economica del contribuente e della sua famiglia, assicurando che tutte le spese e gli investimenti siano accuratamente monitorati.
Se la dichiarazione dei redditi risulta molto più bassa del previsto (almeno il 20% in meno), il Fisco richiederà spiegazioni. Il contribuente avrà due opportunità di contraddittorio: durante la raccolta dei dati e quando il reddito sarà stimato. In entrambe le fasi, le informazioni fornite dal contribuente avranno maggior peso rispetto alle spese presunte.
Il contribuente potrà presentare documenti o prove per dimostrare che le spese sono giustificate dal reddito, ad esempio perché finanziate con risparmi pregressi o entrate esenti da imposte. Se il contribuente non riuscirà a dimostrare la congruenza delle spese con il reddito dichiarato, scatterà l’accertamento fiscale.
UNA STORIA FISCALE LUNGA 50 ANNI
Il decreto recentemente pubblicato in Gazzetta ufficiale illustra la necessità di limitare il potere discrezionale del Fisco nel determinare il reddito presunto dei contribuenti. Sin dal 1973, il Fisco aveva il potere di presumere un certo reddito, potere potenziato nel 2010 sotto il governo Berlusconi. Successivamente, il governo Monti nel 2012 aveva stabilito delle linee guida per l’Agenzia delle Entrate, seguite da ulteriori modifiche nel 2015 dal governo Renzi. Nel 2018, il primo governo Conte aveva abrogato il decreto del 2015, lasciando il redditometro sospeso senza indicazioni precise su quali spese potessero essere utilizzate. Questo ha creato un vuoto normativo che il nuovo decreto intende colmare, come spiegato dal viceministro Leo.
Luigi Marattin di Italia Viva ha dichiarato che il redditometro era stato rimosso nel 2018 perché inefficace e dispendioso, recuperando solo 7 milioni di euro di gettito. Marattin ha criticato lo strumento come inadatto alla lotta contro l’evasione fiscale. Leo ha ribadito che era necessario chiudere questo “circolo amministrativo” e ha sottolineato la mancanza di controllo politico e la confusione gestionale all’interno dell’Agenzia delle Entrate. Secondo Leo, l’assenza di una classe dirigente competente ha permesso che queste disfunzioni persistessero, un problema che il nuovo decreto tenta di risolvere.
Com’era fatto il vecchio
L’appartenenza alla tipologia di famiglia: la corretta attribuzione della tipologia di famiglia di appartenenza al contribuente è fondamentale per determinare il trattamento dei dati ai fini della ricostruzione del reddito familiare e delle spese attribuibili, incluso il “fitto figurativo”. Durante la selezione, ad ogni contribuente viene assegnato il lifestage risultante dalla “famiglia fiscale” presente nell’anagrafe tributaria, basata sui dati delle dichiarazioni dei redditi presentate. Questa famiglia fiscale comprende il contribuente, il coniuge (anche se non fiscalmente a carico), i figli e gli altri familiari fiscalmente a carico. Invece, la famiglia anagrafica include anche i figli maggiorenni, altri familiari conviventi e i conviventi di fatto, non fiscalmente a carico, evidenziando possibili discrepanze tra le due definizioni di famiglia.
Quando vengono rilevate differenze tra la “famiglia fiscale” e la “famiglia anagrafica”, l’Ufficio competente, prima di inviare un formale invito ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, effettuerà i necessari controlli sulla situazione familiare del contribuente, aggiornando la composizione del nucleo familiare per evitare selezioni errate. Il contribuente, nel primo contraddittorio con l’ufficio, può fornire una diversa rappresentazione della propria situazione familiare, permettendo una nuova attribuzione della tipologia familiare. Questo processo garantisce che il reddito complessivo dichiarato dalla famiglia giustifichi eventuali discrepanze apparenti nel reddito individuale.
Ad esempio, con gli estratti dei conti correnti è possibile dimostrare il possesso di risorse “non imponibili” in termini di “durata” e non di semplice “transito”. In materia di accertamento delle imposte sui redditi, se l’ufficio finanziario determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, il contribuente può fornire prova documentale contraria non solo per dimostrare la disponibilità di redditi o di redditi esenti, ma anche per mostrare che la spesa è stata sostenuta con tali redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, e non con altri tipi di reddito. Questo principio è stato affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 8995 del 18 aprile, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
La controversia in questione riguardava un contribuente sottoposto a un vecchio accertamento sintetico, secondo l’articolo 38 del Dpr 600/1973, per gli anni 1998/1999.
L’amministrazione contestava un maggior reddito al contribuente per la proprietà di un’autovettura e di alcune unità immobiliari, non compatibile con i redditi dichiarati. L’articolo 38 permette all’amministrazione di determinare il reddito complessivo basandosi sulle spese sostenute durante l’anno, a meno che il contribuente dimostri che tali spese sono state finanziate con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte. In appello, il ricorso del contribuente è stato accolto, con i giudici che hanno ritenuto sufficiente la prova della disponibilità di redditi esenti per coprire le spese. Tuttavia, la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, rilevando che era necessario dimostrare che tali redditi esenti erano stati effettivamente utilizzati per coprire le spese contestate.
Il Garante della privacy ha stabilito che la ricostruzione sintetica del reddito è conforme al Codice della Privacy quando si basa su dati relativi a spese certe, spese per elementi certi e fitto figurativo, quest’ultimo nonostante sia presunto, può essere facilmente verificato durante il contraddittorio con il contribuente. In linea con questo parere, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto alcune criticità riguardanti l’utilizzo delle spese medie ISTAT per ricostruire voci di spesa non collegate all’esistenza di beni o servizi. Le spese medie ISTAT possono essere utilizzate solo se legate ad elementi certi come il possesso e le caratteristiche di immobili e veicoli registrati, comprendendo spese di manutenzione ordinaria degli immobili e spese relative all’uso degli autoveicoli.
In particolare, la circolare n.6/2014 specifica che le spese per beni e servizi di uso corrente determinate esclusivamente sulla base delle medie ISTAT non verranno considerate né per la selezione dei contribuenti né nel contraddittorio. Tuttavia, gli importi specifici individuati dall’ufficio potranno essere oggetto di contraddittorio e contribuire alla ricostruzione sintetica del reddito. Le spese per elettrodomestici, arredi e altri beni e servizi per la casa, sebbene legate al possesso di immobili, non sono determinate in base alle caratteristiche degli stessi. Pertanto, queste spese contribuiranno alla ricostruzione sintetica del reddito solo se risultano effettivamente nei dati disponibili nell’anagrafe tributaria. Inoltre, se il contribuente fornisce chiarimenti esaustivi riguardo a spese certe, spese per elementi certi, investimenti e risparmio annuale, l’attività di controllo basata sulla ricostruzione sintetica del reddito si conclude nella prima fase del contraddittorio.
Il D.M. 24 dicembre 2012 stabilisce che la spesa per il cosiddetto “fitto figurativo” venga attribuita al contribuente nel caso in cui non risulti, nel comune di residenza, nessuna delle tre tipologie di possesso indicate nella circolare n. 24/E/2013: proprietà o altro diritto reale, locazione o leasing immobiliare, uso gratuito. Secondo il Garante della privacy, il “fitto figurativo” deve essere attribuito solo dopo la selezione del contribuente, e pertanto non influisce su tale selezione. Se il contribuente dimostra una diversa condizione abitativa, come la disponibilità di un immobile, la spesa per il “fitto figurativo” non deve essere considerata, ma devono essere correttamente determinate le “spese per elementi certi” legate alle caratteristiche dell’immobile.
Inoltre, se il contribuente non chiarisce la propria posizione o non si presenta al contraddittorio, il “fitto figurativo”, determinato anche in base alla fase della vita del contribuente, concorre alla determinazione del reddito maggiore accertabile, come confermato dal Garante. In generale, gli uffici devono effettuare ulteriori controlli preventivi sulla correttezza dei dati utilizzati, apportando le modifiche necessarie, qualora vengano rilevati valori non coerenti con il quadro informativo complessivo del contribuente, prima di procedere con l’invito al contribuente stesso.
Le risposte dell’Agenzia delle Entrate ai quesiti dell’epoca, come confermato dalla circolare n.6/2014, ribadiscono l’utilizzo legittimo delle spese medie ISTAT per il calcolo delle spese connesse ad elementi certi. Queste includono le spese per la manutenzione ordinaria degli immobili, per acqua e condominio (calcolate in base ai metri quadrati effettivi delle abitazioni), e le spese relative all’utilizzo degli autoveicoli (compresi moto e caravan, calcolate in base ai kilowatt effettivi). Inoltre, contribuisce alla ricostruzione sintetica del reddito complessivo accertabile anche la quota di risparmio formatasi durante l’anno e non utilizzata per spese di investimento o consumi.
Utilizzando gli ordinari poteri istruttori, l’Ufficio invita il contribuente selezionato a fornire dati e notizie per l’accertamento, indicando nell’invito stesso gli elementi e le circostanze rilevanti. Se il contribuente non si presenta, si applica la sanzione stabilita dall’art. 11, c. 1, lett. c, del Dlgs n. 471/1997. Fin dal primo incontro, il contribuente può fornire chiarimenti sugli elementi di spesa individuati e sul proprio reddito. Il settimo comma dell’art. 38 del DPR n. 600/73 prevede un secondo momento obbligatorio di confronto, durante il quale il contribuente può presentare ulteriori elementi giustificativi. Infine, in relazione alle spese per investimenti sostenute, il contribuente potrà fornire la prova della formazione della provvista utilizzata per tali investimenti.