Dal 2017 sono 3,3 milioni le Partite IVA che sono state chiuse in Italia. Le motivazioni sono nei risultati non raggiunti o nelle forti criticità economiche che la nazione sta vivendo negli ultimi anni. Ultima in ordine di tempo è quella causata dall’emergenza Coronavirus 2020, per cui il governo Conte sta presentando misure d’emergenza. Una delle conseguenze peggiori può essere il fallimento della Partita IVA.
Aprire una ditta individuale è abbastanza semplice, ma è anche facile che gli affari non vadano bene. Il fallimento di un’attività commerciale avviene quando quest’ultima si trova in un forte stato d’insolvenza da non poter pagare i creditori, attraverso una procedura per recuperare il valore dei beni aziendali. Ci sono gravi conseguenze per il titolare di una P. IVA fallita. C’è quindi da chiedersi, cos’è e cosa succede col fallimento della Partita IVA?
Cos’è il fallimento della Partita IVA?
Per fallimento si intende una procedura giuridica, richiedibile quando un titolare d’azienda o di una ditta individuale non è più in grado di sostenere le spese verso i creditori, mostrando quindi un grave stato d’insolvenza. Secondo il d.l. 14/2019 sulle crisi d’impresa, la procedura di fallimento è chiamata liquidazione aziendale e ne potranno essere soggetti anche liberi professionisti e avvocati.
Al contrario della chiusura della Partita IVA, che può essere richiesta solo ed esclusivamente dal suo titolare, la richiesta di fallimento può essere avanzata:
- Dall’imprenditore
- Dai creditori
- Dal Pubblico Ministero
Quando è l’imprenditore stesso a richiedere il fallimento della Partita IVA si può parlare di auto fallimento, rivolto a chiunque si trovi impossibilitato a risanare un eccessivo indebitamento: per essere richiesto, l’imprenditore deve dimostrare di non essere riuscito a raggiungere accordi con i creditori, disponendo di abbastanza liquidità per anticipare la procedura fallimentare. Un’alternativa per aggirare l’auto fallimento può essere un accordo coi creditori per il pagamento rateale delle cifre previste.
A cosa serve e cosa comporta la procedura fallimentare?
Obiettivo principale della procedura fallimentare è impedire all’imprenditore di chiudere la partita IVA e liquidare l’azienda senza aver saldato i suoi debiti. Proprio per tale ragione si elencheranno tutti i creditori e l’ammontare a loro dovuto.
Qualora necessario, l’estinzione dei debiti può avvenire anche attraverso il patrimonio personale dell’imprenditore: si procederà quindi al pignoramento dei beni, che verranno messi all’asta per ottenere la liquidità necessaria al pagamento.
La procedura è disciplinata dall’art 492 c.p.c. e comprenderà il titolo esecutivo, emesso dal giudice in caso di approvazione, e l’atto di precetto, inviato al debitore. Possono essere pignorati:
- Beni mobili
- Beni immobili
- LiquiditÃ
Ai sensi del d.l. 69/2013, detto anche Decreto del Fare, sono però esclusi beni considerati indispensabili, come ad esempio:
- Prime necessità e bisogni fisiologici
- Sostentamento strettamente necessario per 30 giorni
- Animali domestici da compagnia o terapeutici
- Prima casa (che resta però a rischio ipoteca)
- Polizze assicurative caso morte
Nel caso di una ditta individuale ciò avviene perchè la responsabilità del suo titolare è illimitata, i suoi beni personali potranno quindi essere pignorati per affrontare le spese di liquidazione. Il d.l. 23/2020, detto anche Decreto Liquidità , prevede la sospensione per 3 mesi delle istanze fallimentari legate all’emergenza Coronavirus.
Come dichiarare fallimento della propria ditta individuale?
Non essendo un procedimento giuridico automatico, il fallimento della Partita IVA ha una serie di requisiti, primo tra tutti è quello di possedere un’attività commerciale: questa deve trovarsi in conclamato stato d’insolvenza.
L’istanza di fallimento di una ditta individuale può essere presentata personalmente alla cancelleria del tribunale di competenza, ossia della città dove si trova la sede principale dell’azienda fallita, dai creditori o dall’imprenditore coinvolto: così facendo, il cancelliere verificherà l’identità del richiedente autenticandone la firma.
Alla domanda dovrà essere allegata la documentazione utile al giudice per approvare la dichiarazione di fallimento ed emettere il titolo esecutivo. In questa saranno necessari:
- Scritture contabili e fiscali con ultimo bilancio
- Certificato visura camerale
- Stato d’attività imprenditoriale
- Elenco creditori e relativi importi
Anche nel caso della ditta individuale, essendo quest’ultima un’attività commerciale l’imprenditore che richiederà fallimento o ne sarà soggetto non può dichiararsi nullatenente, come può invece fare un comune cittadino.
Saranno invece esenti da tale istanza i piccoli imprenditori che hanno maturato in 3 anni d’esercizio:
- Attivo inferiore a 300,000 euro annuali
- Ricavi inferiori a 200,000 euro annuali
- Debiti totali inferiori a 500,000 euro
Stando al d.l. 169/2007, infine, la richiesta di fallimento non può essere effettuata verso debiti scaduti e non pagati inferiori a 30,000 euro.
Quali conseguenze per il titolare dopo il fallimento?
Una volta dichiarato fallito, l’imprenditore non avrà più la proprietà dei beni a lui pignorati, sebbene restino di sua proprietà quelli indispensabili e di sostentamento suo e della sua famiglia. In caso di estrema necessità , il giudice può disporre un assegno di mantenimento per il soggetto fallito, che dovrà dimostrare lo stato di bisogno.
Nonostante l’imprenditore abbia degli obblighi patrimoniali da rispettare, può liberamente aprire una nuova attività commerciale autonoma e differente dalla precedente, poiché è proprio la precedente l’oggetto di contesa. La nuova attività sarà senza impedimento, non potrà però sfruttare mezzi e strumenti destinati all’estinzione dei debiti.
In alternativa, può svolgere un nuovo lavoro subordinato, para-subordinato o freelance, potendo inoltre aprire nuovi conti correnti, poiché il fallimento della Partita IVA non è in nessun modo legato alla sua condotta morale.
Come evitare il pignoramento dello stipendio e della pensione
Conclusioni
Al termine di quest’esame si può notare quanto il fallimento della propria attività sia un fatto estremamente grave, derivante principalmente da conclamate difficoltà economiche, causate da cattiva gestione o cause di forza maggiore. Malgrado le grandi criticità , l’imprenditore dichiarato fallito può sempre rimettersi in gioco, con una nuova attività differente dalla precedente o con un lavoro da dipendente.
A conti fatti, il fallimento di una Partita IVA è purtroppo un fenomeno oltremodo frequente a causa della pesante instabilità economica italiana: secondo uno studio di Crisis Company, le attività fallite nell’ultimo trimestre 2019 sono 2,328, mentre sono 8,042 quelle fallite durante tutto il 2019, di cui 1,752 solo in Lombardia, regione trainante dell’industria italiana.
A complicare ulteriormente la situazione è la grave crisi economica generata dall’epidemia CoViD-19, che dall’8 marzo 2020 ha causato una chiusura forzata a livello nazionale: nonostante le misure d’emergenza del governo Conte, che prevedono aiuti economici per Partite IVA e PMI, stando ai dati di Cerved si prevedono procedure di fallimento per un’azienda su 10 qualora tale emergenza persista sul lungo periodo.
In ogni caso, sono esenti dall’istanza di fallimento coloro che presentano debiti inferiori a 30,000 euro, così come i piccoli imprenditori, categoria che rappresenta il 65,4% del totale delle imprese italiane attive. Malgrado le forti difficoltà , questi non saranno soggetti a liquidazione aziendale e pignoramento.